giovedì 14 aprile 2011


Non mi hanno mai interessato le cose materiali, se non quelle basilari. Quelle che nella nostra società sono considerate tali.
Cose che mi fanno stare meglio. Mi spiego: un tetto sulla testa, un pasto su cui contare, qualche risparmio per le emergenze. Una utilitaria con il motore che risponde al primo giro di chiave.
Lo shopping non è un hobby per me. Non è motivo di soddisfazione, non riempie lacune.
Apprezzo un buon libro, un vaso di fiori, buona musica. Il cinema o un concerto. Se mi serve una cosa e posso acquistarla lo faccio. Non mi interessa il cellulare all’ultimo grido, l’orologio di marca, la scarpa giusta. Non sono una tipa che veste griffato ma se voglio togliermi un piccolo sfizio posso farlo. Ogni due anni se capita un viaggetto all’estero ci sta. Per me l’importante non è esibire, mostrare o apparire. Per me importante è essere.
E sempre meno sono. Non posso essere me stessa.
Me stessa viene rifiutata, viene emarginata, viene schifata.
Vorrei sentirmi libera di vivere bene giorno dopo giorno in serenità. Poter arrivare stanca la sera dopo una giornata di lavoro, stanca ma almeno soddisfatta. Ma così non è.
Forse se fossi da sola mi sarei già decisa e avrei fatto il salto. La paura di deludere è grande e mi frena. Ma chi mi vuole bene dovrebbe volere il mio bene in fondo, no?
Non solo il bene fisico ma anche quello mentale. E’ un tutt’uno. Non sono due cose separate, l’uno è complementare e inseparabile dall’altro. Sempre di più quando le riserve sono finite. Quando si comincia a grattare il fondo e le unghie fanno male.
Colleghi? Superiori? In quasi 21 anni si sono dimostrati gretti, ipocriti, parziali, falsi e cattivi. Sembrano parole pesanti ma non è così. Ci ho riflettuto sopra e se la battuta viene facile: “si raccoglie quello che si semina” per me è stata una sequela di carestie. Apprezzata da esterni all’azienda, schiacciata da persone interne all’azienda.
I primi anni sono stati i più gratificanti, una dirigenza diversa, persone di una volta, tutte d’un pezzo quando dare la parola era firmare un contratto.
Veniva riconosciuto quanto fatto, ci stavano i cazziatoni come i complimenti. C’era il rispetto del padrone e del dipendente.
Il mio destino è fatto di incontri che però hanno avuto una fine. Gente che mi ha conosciuto e riconosciuto per quella che sono e che si è o licenziata o cambiato sede o andata (beata lei) in pensione.
Lo so, vivere è anche stare in equilibrio tra persone stronze. Ma, e ribadisco ma, se vincere è essere bravi a spalare più melma addosso, inventarsi cose, fare del male… beh è una gara nella quale perdo già alla partenza. Una gara a cui non voglio partecipare.
Ho pagato e pago la mia coerenza, la lealtà e l’essere onesti a ogni costo. La dignità non è un optional e l’umiltà è merce rara.
So da tempo che non vi è meritocrazia dove lavoro e la parità tra dipendente uomo e donna è una bella utopia, resta e resterà tale qui dove lavoro io e nella maggioranza dei luoghi di lavoro.
Il tempo passa e il mio cambiare atteggiamento di fronte ai problemi non ha sortito alcun effetto.
A questo punto sono io che devo cambiare, dare un taglio netto e devo raccogliere le forze che non sento per farlo, andare avanti controvento. Cresciuta con il senso del dovere e delle responsabilità prima ancora di imparare a giocare vorrei capire e sapere quando ho smesso di essere bambina perché, se magari riuscissi a fermare quel momento, isolarlo dalla mia infanzia che non ricordo forse, e ribadisco, forse riuscirei a dire basta e ad esigere rispetto.

 
Questo è un post che scrissi 4 anni fa. Corsi e ricorsi, non è cambiato nulla ma è cambiato molto. L’essere è divenire no?

14 commenti:

  1. Non mi piacciono le parole pesanti...

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  2. me lo ricordo questo post.
    Perché rileggendolo oggi ho avuto la stessa identica reazione di allora :)

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  3. (sperando di leggere presto parole leggere e spensierate)

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  4. oddio potevo scriverlo io un anno fa...poi ho saltato il fosso mi sono licenziata. sono stata a casa 8 mesi nel frattempo la ditta è fallita e ci ho rimesso il tfr.  da gennaio lavoro in sostituzione di maternità in una concessionaria. Ci credi che mi conoscono da due mesi e si sono già preoccupati di trovarmi un lavoro per settembre quando tornerà l'altra? pensa che è solo la seconda volta in 23 anni che lavoro che trovo gente che mi apprezza..però dopo le peripezie dell'ultimo lavoro mi ha scaldato il cuore... un abbraccio

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  5. Lazorra tanti tanti in bocca al lupo!!!!!

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  6. che poi minchiasabbrriii sono io di nome

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  7. ciao minchiasabbbbridinome :-)

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  8. un abbraccio Clio e Buona Pasqua da noi

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  9. Grazie Sabri!!!! Buona Pasqua :-)

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  10. bello il tuo blog...
    buona pasqua....passata!
    anzi:buona pasquetta.

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  11. no mai 12+1
    facciamo 14 che è meglio! :-)

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