giovedì 10 giugno 2010

Helen Thomas, giornalista veterano dalla Casa Bianca , vuole mandarci tutti in Polonia e Germania

Cara signora, le racconto due o tre cose sui miei genitori
Di Yoram Dori


Gentile signora Thomas, ho saputo delle sue recenti affermazioni secondo cui noi ebrei dovremmo “andarcene dalla Palestina” e “tornarcene a casa, in Germania e in Polonia”. Sono ben convinto che lei sia a conoscenza degli eventi che hanno avuto luogo negli anni 1939-45. Tuttavia, a scanso d’errori, mi pare opportuno raccontarle qualcosa dei miei genitori e delle loro famiglie.
Mia madre fu mandata dai suoi lungimiranti genitori dalla Germania nella Palestina Mandataria britannica nell’anno 1933, quello dell’ascesa al potere dei nazisti. I divieti britannici, che impedivano l’ingresso agli ebrei in fuga dagli orrori nazisti, le resero molto difficile l’immigrazione, e solo fingendo di essere in visita turistica riuscì a entrare e a salvarsi la vita. Sua sorella maggiore Sarah, il marito di lei e i loro tre figli di 12, 10 e 7 anni non riuscirono a trovare il modo di arrivare nella Palestina britannica e vennero spediti dai nazisti in Polonia, dove il loro viaggio verso le camere a gas di Auschwitz fu tragicamente breve. A quanto capisco, è da quelle parti che lei mi vorrebbe mandare.
Anche mio padre, che viveva in Austria, dimostrò intraprendenza e subito dopo l’invasione tedesca si imbarcò per la Palestina britannica. Lungo il viaggio, di nuovo per via dei divieti britannici, fu costretto a gettare in mare il suo passaporto per non correre il rischio d’essere rispedito in Austria, un altro paese dove lei vorrebbe che io mi trasferissi. Suo fratello maggiore e la di lui moglie, che non partirono con lui, vennero assassinati dai nazisti e dai loro collaboratori.
I miei genitori, che – come ho detto – riuscirono a mettersi in salvo fuggendo dall’Europa appena prima d’essere assassinati, sbarcarono in un paese arido e desolato dove si misero a lavorare duramente nei frutteti riuscendo a mala pena a mantenersi, ma dove erano, sia detto per inciso, ben lieti della loro sorte.
Nel 1947, quando ebbero notizia della risoluzione dell’Onu sulla spartizione del paese (in due stati, uno ebraico e uno arabo), come tutti gli altri ebrei scesero a ballare per le strade, anche se gran parte del territorio della terra d’Israele veniva sottratto alla sua sovranità. Per gente che era scampata al rogo della Shoà, era abbastanza.
I palestinesi e i paesi arabi, che avevano ottenuto la maggior parte del territorio, rifiutarono la risoluzione dell’Onu e lanciarono una guerra con lo scopo di annientarci. Erano trascorsi solo tre anni dalla liberazione di Auschwitz e di nuovo noi – gli ebrei – dovevamo affrontare la minaccia dello sterminio. Fortunatamente i seicentomila ebrei in terra d’Israele sconfissero i milioni di arabi in armi (sebbene a prezzo di durissime perdite). A quanto pare, talvolta la giustizia ha di per sé abbastanza forza e potere.
Nei sessantadue anni della nostra esistenza come Stato sovrano abbiamo avuto sette guerre, migliaia di attentati terroristici, autobus fatti esplodere nelle strade, prese di ostaggi e sparatorie nelle scuole, tiri di mortaio sugli asili. Eppure lei vorrebbe ricacciarci nei luoghi dell’inferno, come se non fosse accaduto nulla sessantacinque anni fa in Europa, come se non avessimo sempre teso la mano in segno di pace sin da quando abbiamo creato il nostro Stato.
Siamo usciti vittoriosi dalle guerre che ci furono imposte dall’Egitto e, appena possibile, abbiamo firmato un accordo di pace con l’Egitto restituendogli tutti i suoi territori, pozzi di petrolio compresi. Abbiamo firmato un accordo di pace con la Giordania, cedendole tutti i territori che rivendicava e grandi quantità di acqua ogni anno. Ci siamo ritirati dal Libano (pur in assenza di un accordo) fino al confine internazionale (certificato dall’Onu) e in cambio abbiamo ricevuto i razzi katyusha degli Hezbollah sui nostri cittadini. Abbiamo lasciato la striscia di Gaza e in cambio abbiamo ricevuto fuoco massiccio sui nostri civili nel sud. Lo sa, signora Thomas, che molti bambini israeliani di Sderot e di tutta la zona circostante Gaza sono traumatizzati e inseguiti dagli incubi per la paura dei missili di Hamas?
Ed è noi che lei vuole cacciare da questo paese? Perché? Forse perché pensa che siamo deboli, o perché è seccante il fatto che non ci siamo lasciati sconfiggere? Sono uno che, per tutta la vita da adulto, ha militato nel campo della pace israeliano, a dispetto di quelli come lei e delle vostre opinioni stravaganti e insolenti. Io e i miei amici, e spero anche il mio governo, continueremo a tentare di tutto pur di arrivare alla pace. Una pace che ci permetta le condizioni minime per vivere la nostra vita, e ai nostri vicini, i palestinesi, di costruirsi un paese e di svilupparsi e prosperare. Per arrivare a questo siamo pronti a fare grandi concessioni, a cedere tutti i territori conquistati nel corso di guerre che i nostri vicini ci hanno imposto di combattere. C’è una cosa sola che vogliamo in cambio: la vita. Una vita tranquilla, senza terrorismo, senza missili, senza minacce alla nostra stessa esistenza; una vita come quella che lei vive nella sua Washington e che anch’io ho diritto di vivere: in Israele.


Grazie a Deborah Fait http://deborahfait.ilcannocchiale.it/ per questa testimonianza.