venerdì 11 maggio 2007

Serenissimi, vendetta di Stato


 


Dieci anni fa issarono la loro bandiera. Color rosso porpora, bordata oro, con il Leone alato in primo piano. La loro bandiera era il simbolo di una libertà che sentivano di non avere. Andarono in prigione, marchiati come golpisti. Erano invece dei sognatori. Sono dei sognatori, perché dei dieci Serenissimi solo il Bepin non c'è più. Morto di galera, anche se i referti medici parlano di morte naturale. Un sognatore non muore mai di morte naturale. E loro, i Serenissimi, sognatori lo sono sempre stati.
Ne subirono di ogni per quell'assalto al Campanile, azione sgangherata ma non burlesca, ideale più che reale. Un trattore camuffato da tanko, un fucile della Seconda guerra mondiale, il cappuccio in testa: non sarà stato mica un commando vero. Nella storia di questo strano Paese, la banda armata ha lasciato lunghe strisce di sangue, centinaia e centinaia di bussolotti in terra e cattivi maestri teorici del conflitto a fuoco. Di tutto questo non fecero nulla. Eppure Luigi Faccia, il compianto Giuseppe Segato, Gilberto Buson, Cristian e Flavio Contin, Antonio Barison, Luca Peroni, Moreno Menini, Fausto Faccia e Andrea Víviani il mattino dei 9 maggio '97 furono arrestati e trattati come i peggiori criminali. Neanche fossero quelli della Banda della Magliana, della Banda del Circeo o le Brigate Rosse. No, i Serenissimi non spararono nemmeno un colpo. Chiedevano di essere ascoltati: volevano tomare alla Repubblica di Venezia mica alla dittatura del proletariato. Volevano riprendersi la loro Storia, pensate un po' che reato. Lo Stato scomodò i reparti speciali dei Carabinieri, tiratori scelti sui tetti, elicotteri e lacrimogeni per acciuffare questi eversori farabutti.
Attentato all'unità dello Stato. Fu questa la contestazione, oltre alla banda armata e a interruzione di pubblico servizio (avevano dirottato un battello per arrivare a piazza San Marco con il loro mezzo blindato, pagando regolare biglietto), dei giudici tra cui il solito Papalia. Prese loro, lo Stato, per dare un esempio a chi parlava di secessione. Toccò ai Serenissimi. Poi a Umberto Bossi e altri leghisti. II Senatur, la mossa del Campanile, dapprima non la capì; anzi ne prese le distanze perché temeva che fosse opera dei Servizi segreti per creare panico tra le genti del Nord. Poi però ammise che erano figli della stessa battaglia identitaria.
Erano gli anni della Lega secessionista. Erano gli anni della Lega che prendeva oltre il dieci per cento, con punte del 30 in Veneto. Bossi faceva il pieno di voti e Roma non capiva cosa stesse accadendo. Bossi parlava di identità, di soldi che dovevano restare sul territorio per gli investimenti, di storie e culture locali. Scaldava i cuori, quando la politica non emozionava più. Erano quegli anni lì.
Bepin e gli altri non erano però leghisti. Sono veneti. Di più, sono della Repubblica di Venezia. Sono della Serenissima cancellata da Napoleone. Per le loro idee ebbero processi su processi. Condanne pesanti rispetto al niente che combinarono. Ma lo Stato doveva dare l'esempio. Certo, non poteva fargliela passare liscia; ma non ci fu nessuna proporzione tra fatto e pena. Volle punire per mettere a tacere ciò che non capivano allora e non capiscono ancor oggi. Dieci anni dopo quell'assalto, una parte del Veneto fa la secessione, con un referendum, e si annette al Trentino. Altri seguiranno l'e - sempio di Asiago e dei comunelli dello stesso Altipiano. Ognuno vuole la libertà. E se la prende. Anche a costo di secedere da un qualcosa. La secessione fa paura a uno Stato debole. Distaccarsi da qualcosa non è staccare il frutto proibito, la mela del peccato originale. Si può essere secessionisti anche stando sotto lo stesso tetto: la cultura, la lingua locale, la propria storia, la propria bandiera non si barattano. È molto di più del Campanile.
Lo sanno gli scozzesi che proprio pochi giomi fa hanno votato lo Scottish National Party, infilzano il partito laburista di Blair che pure aveva aperto alla causa scozzese. La vittoria dei nazionalisti scozzesi (sostenuti dall'attore Sean Connery) spalancherà le porte al referendum per l'indipendenza della Scozia entro il 2010. Venti indipendentisti soffiano anche in Catalogna, nei Paesi Baschi, in Galizia; sempre in Gran Bretagna con la questione gallese e irlandese. Tradizione politica forte è infine quella della Cuncolta Nazionalista Corsa. In alcuni di questi casi si tratta di questioni politiche con tensioni persino drammatiche, alle quali la politica ha l'obbligo di dare una risposta.
L'assalto al Campanile e la questione settentrionale fanno parte dello stesso filone politicoculturale. Lo Stato potrà anche credere che la prigione può essere più forte della storia o che si può barattare una legge elettorale per tenere a bada la forte richiesta di federalismo e di libertà. Ma non è così. Lo insegna la storia. Al Nord come al Sud. A Est come a Ovest. L'Europa intesa come SuperStato è stata sconfitta dai popoli. Non è un caso se solo in Italia si continui a guardare all'Europa come a un Eldorado di salvezza, mentre nelle recenti elezioni in Francia nessuno dei due candidati si è particolarmente scaldato per sostenere le ragioni di Bruxelles. E men che meno l'ha fatto Sarkozy.
Dieci anni sono trascorsi dalla notte dei Serenissimi. Per loro fu la notte di un sogno. Fu la notte di un'ideologia e di una passione srotolate male. Fu la notte in cui valeva la pena rischiare la vita per una bandiera. La propria storia.


Gianluigi Paragone su Libero

3 commenti:

  1. Giá.
    Concordo su tutto. Ma non sull'Europa. Son convinto che sia stata una buona cosa. Per l'Italia magari no (e nemmeno un buon affare dell'Europa portarsi dentro l'Italia viste le tante truffe e infrazioni) ma come concetto in sé direi che puó andare bene. Ma é un processo di unione che richiederá secoli per unire davvero tutti gli stati.

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  2. Mah sono molto scettica Gris.
    Io votai no, capisco che è come andare contro i mulini a vento... ma ancora voterei no. Troppe differenze, troppe.

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  3. anche per noi del sud fu una notte da sogno.

    Mi ricordo la lettura dei giornali, il giorno dopo, quanto si rise.
    Poi si riprese a studiare inglese.

    Non si oteva credere che ci fosse ancora gente come quella, rinchiusa in un dialetto e pronta, non a preservare i localismi (cosa corretta) ma a cercare di ergere barriere che si erano dimenticate secoli prima.

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